Il martirio di Jacques de Molay: cronache del rogo dell’ultimo maestro

Il martirio di Jacques de Molay: cronache del rogo dell’ultimo maestro

La gloria del martirio.

Ringraziamo il cielo che la concede a tutti noi.

Che il fuoco dei roghi s’accenda intorno a noi;

Che il ferro della morte si agiti sulle nostre teste,

Io sono pronto. E voi? Sì, so che lo siete.

Grande Dio! Sia tu benedetto, diffondi nei nostri cuori

Un coraggio ancor più grande dei nostri dolori.

Tu vuoi che l’universo riceva un santo esempio;

Questi soldati della fede, questi difensori del Tempio,

Giustamente preferiti, ciò son degni di offrire

A chi, in tuo nome, dovrà un giorno morire.

(Les Templiers, atto V, scena II)1

Introduzione

Le vicende riguardanti i Templari sono da sempre oggetto di grande fascino, non solo dal punto di vista storico ma anche, e soprattutto, per una serie di manifestazioni legate a leggende, misteri, e a un intricato fil rouge di presunti segreti esoterici. Il presente elaborato intende concentrarsi sull’epilogo dell’ordine del Tempio con un focus particolare sul rogo dell’ultimo maestro, Jacques de Molay. Verranno tralasciate le questioni relative al processo per dare spazio alle fonti – contemporanee agli eventi – legate a quel fatidico 18 marzo 1314. I principali testi indagati provengono dalla Continuazione della Cronaca di Guillaume de Nangis, dalla Chronique métrique attribuita a Godefroy de Paris, e dalla Cronaca del Templare di Tiro (in Les Gestes des Chiprois).

Gli eventi

Jacques de Molay nasce in Borgogna tra il 1244 e il 1249 entra nell’ordine nel 1265 presso il Tempio di Beaune; intorno al 1275 raggiunge l’Outremer per dare manforte ai suoi confratelli impegnati nella difesa dei regni latini. Quando San Giovanni d’Acri, dopo un’eroica resistenza, cade il 18 maggio 1291 de Molay ha circa quarantacinque anni; il maestro Guillaume de Beaujeu perde la vita nello scontro e i templari superstiti si rifugiano sull’isola di Cipro insieme agli altri crociati. Qui nel 1292 – dopo ventisette anni di servizio – Jacques de Molay viene eletto maestro dell’ordine. Tra il 1300 e il 1301, insieme agli Ospitalieri, effettua alcuni tentativi di riconquista della Terra Santa, occupando per breve tempo l’isola di Ruad. Infine, nel 1306, rientra in Europa ma Filippo il Bello (che intanto ha ricevuto in prestito dall’ordine ben 400.000 fiorini d’oro) trama qualcosa. Il 13 ottobre 1307, dopo aver emanato un ordine segreto, il sovrano fa arrestare tutti i Templari di Francia; Jacques de Molay sotto tortura ammette le accuse e viene condannato alla prigionia a vita. Il 12 maggio 1310 l’arcivescovo di Sens fa ardere sul rogo 54 Templari. Il 16 ottobre 1311 si apre il concilio di Vienne e l’anno successivo, conclusi i lavori, Papa Clemente V decreta la sospensione dell’ordine. Intanto il maestro e i fratelli del Tempio, rinchiusi nelle carceri di Chinon, non smettono di rivolgere a Dio le loro preghiere:

[…]
Tu, Domine, qui scis nos esse innocentes, facias liberari, ut vota nostra et mandata tua in humilitate teneamus, et tuum sanctum servitium et volantatem faciamus; contumelias iniquas, non veras, contra nos oppositas per graves oppositiones, et malas tribulationes et tentationes, quas passi fuimus, et pati ulterius non possumus.

[…] pro tua sancta misericordia liberes et conserves, prout tu scis nos esse innocentes à criminibus contra nos oppositis, et operas possideamus, per quas ad gaudia paradisi perducamur, per Christum Dominum nostrum. Amen.
[…]
Tu, Signore, che conosci la nostra innocenza, facci liberare, affinché possiamo, con umiltà, tenere fede ai nostri voti e ai tuoi comandamenti, e compiere la tua volontà e il tuo santo servizio. Abbiamo subito inique ingiurie, false e gravi accuse, tribolazioni e tentazioni, e non possiamo più sopportarlo.

[…] per mezzo della tua santa misericordia liberaci e custodiscici, poiché tu sai che siamo innocenti dei crimi di cui veniamo accusati, e abbiamo compiuto opere degne di condurci alla gioia del Paradiso, per Cristo Nostro Signore. Amen.2

Parigi, 18 marzo 1314, i cardinali Nicholas de Fréauville, Arnold de Auch, e Arnold Nouvel, convocano un concilio speciale per interrogare i più importanti membri dell’ordine. Jacques de Molay, il visitatore d’Occidente (Hugues de Payraud), il comandante di Aquitania (Jeoffrey Gonneville), e il comandante di Normandia (Geoffroy de Charny), vengono definitivamente condannati. L’ultimo maestro dei Templari, un uomo di quasi settant’anni, affronta il martirio con straordinario coraggio.

Il rogo nelle fonti dell’epoca

La prima continuazione della Cronaca di Guillaume de Nangis, composta da un monaco contemporaneo agli eventi, ci fornisce precise indicazioni sulla data, il luogo e i fatti avvenuti in quel fatale giorno. I quattro templari coinvolti avevano già confessato i loro crimini in passato, perciò la questione pareva di facile soluzione e i cardinali si limitarono a confermare la condanna al carcere a vita, ma all’improvviso accadde qualcosa di inaspettato.

Sed ecce dum cardinales finem negotio imposuisse credidissent, confestim et ex insperato duo ex ipsis, videlicet transmarinus magister et magister Normanniae, contra cardinalem qui tunc sermonem fecerat et Senonensem archiepiscopum se pertinaciter defendentes, ad abnegationem tam confessionis quam etiam eorum omium quae confessi sunt revertuntur, nec reverentiae parcentes, non absque multorum admiratione. Et dum a cardinalibus in manu praepositi Parisiensis, qui praesens tunc aderat, ad custodiendum dumtaxat traduntur, quousque die sequenti deliberationem super his haberent pleniorem; confestim ut ad aures regis, qui tunc erat in regali palatio, hoc verbum insonuit, communicato cum suis, quamvis proinde clericis non vocatis, prudenti consilio, circa vespertinam horam ipsius diei in parva quadam insula Secanae, inter hortum regalem et ecclesiam fratrum Heremitarum posita, ambos pari incendio concremari mandavit. Qui sie paratum incendium prompto animo et volenti sustinuisse sunt visi, ut pro suae mortis constantia et abnegatione finali cunetis videntibus admirationem multam intulerint ac stuporem; duo vero reliqui adjudicato sibi carceri sunt reclusi.
Ma ecco che quando i cardinali credevano di aver messo fine alla questione, inaspettatamente due di essi, ovvero il maestro e il comandante di Normandia, si opposero con fermezza al cardinale che aveva fatto il sermone e all’arcivescovo di Sens, negando le confessioni e ritrattando tutto ciò che avevano dichiarato, con reverenza e non senza l’ammirazione di molti. Allora i cardinali li consegnarono nelle mani del prevosto di Parigi, che era presente, perché li tenesse in custodia in attesa della delibera che avrebbero emesso il giorno seguente. Non appena la notizia giunse all’orecchio del re, che si trovava nel palazzo reale, questi chiese consiglio ai suoi senza consultare il clero. Quello stesso giorno, verso l’ora dei vespri, su di una piccola isola della Senna situata tra il giardino reale e il monastero dei frati eremiti [dell’ordine di Sant’Agostino], fu ordinato che i due [templari] venissero arsi. Preparato il rogo, furono visti offrirsi con animo pronto e ben disposto [al supplizio], e per la loro fermezza nella morte e il loro estremo diniego [delle accuse] suscitarono grande stupore e ammirazione nei presenti. Gli altri due condannati furono imprigionati [come previsto dalla sentenza].3

Lo stesso evento viene abbondantemente descritto, seppur con qualche differenza, da un altro testimone oculare in un’opera conosciuta come Chronique métrique (composta intorno al 1317) attribuita a Godefroy de Paris, chierico e notaio presso la cancelleria dei re di Francia dalla fine del XIII all’inizio del XIV secolo.

Mil CCC XIIII l’année,
Avint mainte chose faée,
Et vous l’orrez bien ci après,
Si de moy voulez estre près.
En cèle année, dedenz karesme,
Fu assemblé, selonc mon esme,
Clergié et d’amont et d’aval,
De par Nichole cardonnal.
Le roi et de sa baronnie
I restoit à grant baronnie.
Assez i ot oppinions
Entr’eus et altercations
En la cause aux frères du Temple;
Mès en la fin se sont ensemble
Acordé en ceste manière
Que vous orrez ci par derrière.
III manières de gens i ot,
En ces Templiers, que chascun sot:
Li un ont lor fet confessé,
Et du dire ne sont cessé,
Ançois l’ont tozjors connéu;
Li autre l’ont tozjors téu,
N’onques ne les pot on estordre
Que bone ne féust lor ordre;
Et li tiers leur fet confessoient,
Mès en après trestout nioient;
Et puis ont dit communément
Que, par la force du torment,
Et dist et confessé avoient
Celz de l’ordre; d’elz il mentoient,
Mès pour les tormens eschaper,
Avoient celz dist non pas per.
De ces Templiers les II manières
Que je vous ai dit derrenières,
Par conseil furent condampnées,
Et les persones confessées
De leur fet sont encore en garde;
Mès poor ont c’on ne les arde
Ausi comme les autres furent,
Qui leur martyre ou feu reçurent.
 
Tantost com ce fu acordé
Le grant-mestre a esté mandé,
Qui tenoit prison à Gisors
En cel temps; lors en fu mis hors:
Si fu à Paris amenez.
Cil estoit sages et senez,
(Je di au mains du sens du monde),
Et moult tenoit son orde à monde.
Mès quant ot assez sermonné,
En la fin fut-il condampné,
Et fu jugié qu’il féust ars.
Adonc fut pris de toutes pars.
Si fu en l’isle des Javiaus,
Illuec perdi-il ses aviax.
Sus li avoit or et argent
Que donner vot à povre gent,
Que Diex éust pitié de s’ame!
Mès il ne trouva là nul ame
Qui l’en vousist ouïr en rien,
Ançois le tenoient à chien.
Avecques lui furent II frères,
Non pas de semblables manières,
Ançois estoient du contraire.
Li I dist que de mal afaire
Estoient en l’ordre, et hérites,
Et que nul n’en i avoit quites,
Et que chascun hérite estoit;
Et li autre dist qu’il mentoit
Et touz cels qui ce tesmoingnoient,
Et que bon crestiens estoient,
Et que par hayne et envie
Estoit abrégée lor vie.
Li mestre meismes desmentist
Le cardonnal; et si li dist:
Que miex créoit Nostre Seingnor,
Et qu’aussi léal ou meillor
Crestien [ne] li estoit ni ère;
Et s’il i avoit aucun frère
Malvez, tout ce estre pooit,
Souventefoiz dire l’ooit,
Car partout des malvez avoit;
Mès en s’ordre riens ne savoit
Qui ne féust de bone foy
Et de la crestienne loy;
Ne son ordre ne guerpiroit,
Mès por Dieu mort i soufferroit
Et por justice et por droiture.
Lors n’i ot personne si dure
Qui souventefoiz ne s’en saingne,
Quant ainsi son ordre tesmoingne.
 
Le mestre, qui vit le feu prest,
S’est dépoillié sanz nul arrest;
Et (ainsi com le vi, devise)
Tout nu se mist en sa chemise
Liement et à bon semblant;
N’onques de riens n’ala tremblant,
Combien qu’en le tire et désache.
Pris l’ont por lier à l’estache.
Cil liez et joiant s’i acorde;
Les mains li lient d’une corde,
Mès ainz leur dist: «Seingnors, au mains,
» Lessiez-moi joindre I po mes mains,
» Et vers Dieu fere m’oroison;
» Car or en est temps et seison.
» Je voi ici mon jugement,
» Où mourir me couvient brément;
» Diex set qu’à tort et à péchié.
» S’en vendra en brief temps meschié
» Sus celz qui nous dampnent à tort:
» Diex en vengera nostre mort.
» Seingnors, dist il, sachiez, sans tère,
» Que tous celz qui nous sont contrère,
» Por nous en aront à soufrir
» En ceste foy veil-je mourir:
» Véz ci ma foy; et je vous prie
» Que devers la Vierge Marie,
» Dont Nostre Seingnor Crist fust nez,
» Mon visage vous me tornez.»
Sa requeste l’en li a fet.
En ceste guise fu desfet,
Et si doucement la mort prist
Que chascun merveillex en fist.
 
Quant l’autre frère vit son mestre
Par tel mort à martyre mètre,
Si leur a dist: «Seingnors, sanz doute,
» De mon mestre ensuiré la route;
» Comme martyr occis l’avez;
» Ce que fet avez ne savez;
» Et se Dex plest, à cest jor d’ui
» En l’ordre morrai comme lui.»
Et quant les mestres tout ce virent,
Adonc de toutes pars le pristrent,
Et cil n’en fit nule semblance;
Ainsi mourust en tel créance.
Si l’ont ars, aussi com lor mestre;
Chascun le vit qui i post estre.
Et li tiers ramenés en fut;
De ceste chose ainsi li chust.
Nell’anno 1314 avvennero
molte cose straordinarie,
e le udirete qui di seguito,
se vorrete ascoltarmi.
In quell’anno, durante la Quaresima
(secondo la mia stima), il cardinale Nicolas4
convocò un’assemblea di ecclesiastici
provenienti da ogni dove.
Il re partecipò insieme a
un gran numero di baroni.
Vi furono molte opinioni
differenti e dispute
nel processo ai fratelli del Tempio;
ma alla fine l’assemblea
si accordò nella maniera
che udirete di seguito.
I Templari si dividevano in
tre differenti categorie:
quelli che avevano confessato,
senza ritrattare,
anzi ammettendo sempre;
quelli che avevano sempre taciuto,
e nessuno poté estorcere loro
che l’ordine non fosse in buona fede;
e i terzi che confessarono
ma poi negarono tutto;  
questi dissero pubblicamente
che fu a causa dei tormenti
se i membri dell’ordine
avevano confessato; avevano mentito,
ammisero ciò solo per fuggire dai tormenti
non perché fosse vero.
I Templari appartenenti
alle ultime due categorie furono
condannati dal consiglio;
mentre i confessi
si trovano ancora imprigionati,
ma hanno paura di essere arsi
come gli altri
che nel fuoco ricevettero il martirio.
 
Non appena si furono accordati
ordinarono di prelevare il gran maestro,
che all’epoca era prigioniero
a Gisors, lo scarcerarono
e così fu portato a Parigi.
Costui era saggio e assennato
(almeno riguardo le cose del mondo)
e manteneva integro il suo ordine.
Ma dopo aver a lungo discusso
alla fine fu condannato,
e fu deciso che ardesse sul rogo.
Allora venne subito afferrato
e condotto sull’Isola dei Giudei5,
dove perdette ogni speranza6.
Con sé portava oro e argento
che volle donare alla povera gente;
che Dio abbia pietà della sua anima!
Ma laggiù non trovò nessun’anima
che volesse ascoltarlo,
anzi lo trattarono come un cane.
Con lui c’erano due confratelli,
ma non del suo stesso spessore,
anzi, tutto il contrario.
Uno disse che i membri dell’ordine
erano gente di malaffare, eretici7,
che nessuno di loro era innocente,
ed erano tutti sodomiti8;
mentre l’altro rispose che mentiva
come tutti coloro che testimoniavano ciò,
disse che erano buoni cristiani,
e a causa dell’odio e della cupidigia
la loro vita era stata accorciata.
Lo stesso maestro contraddisse
le parole del cardinale dicendo:
che credeva ardentemente in Nostro Signore
e che non c’era cristiano
migliore e più leale di lui;
l’esistenza di qualche confratello
malvagio era possibile
– glielo sentii dire più volte –
poiché i malvagi si trovano ovunque;
ma affermò di non conoscere Templare
che non fosse di buona fede
e buon cristiano; disse che
non avrebbe abbandonato il suo ordine,
ma avrebbe sofferto la morte per Dio
per la giustizia, e per la rettitudine.
Non ci fu nessuno, per quanto impietoso,
che non si facesse più volte il segno della croce
mentre difendeva così il suo ordine.
 
Il maestro, quando vide il rogo pronto,
si spogliò senza trattenersi,
e (così come osservai)
rimase nudo con solo la camicia indosso
con leggerezza e tranquillità;
per quanto lo tirassero e lo strattonassero
nulla riuscì a farlo tremare.
Lo afferrarono per legarlo al palo,
ed egli, sereno e radioso, li lasciò fare;
gli legarono i polsi con una corda,
ma prima disse loro: «Signori,
lasciatemi almeno congiungere
per un poco le mani e pregare Dio;
poiché è giunta l’ora e la stagione:
vedo qui il mio giudizio
dove morirò tra breve,
ingiustamente, Dio lo sa.
La disgrazia si abbatterà presto
su coloro che a torto ci condannano:
Dio vendicherà la nostra morte.
Signori sappiate che tutti quelli
che sono contro di noi
a causa nostra soffriranno,
morirò con questa consapevolezza,
ecco la mia fede; e ora vi prego
che il mio viso sia girato in direzione
della Vergine Maria dalla quale
Nostro Signore Gesù Cristo è nato.»
La sua richiesta fu esaudita.
Perì in questo modo,
e morì con così tanta dolcezza
che ognuno ne rimase meravigliato.
 
Quando l’altro confratello vide il suo
maestro subire un tale martirio
disse loro: «Signori, senza dubbio
seguirò i passi del mio maestro,
lo avete ucciso come un martire;
non sapete quello che avete fatto!
A Dio piacendo, da Templare,
oggi morirò come lui.»
Quando le autorità udirono tutto ciò
lo fecero subito afferrare,
ma egli non oppose resistenza,
e morì saldo in quella fede.
Lo hanno arso come il suo maestro,
davanti a tutti i presenti.
Il terzo fu portato via e
si sottrasse a quel destino.9

L’autore prosegue brevemente affermando che dopo il processo e la condanna ci furono molti pareri discordanti, ma si astiene dall’esprime un giudizio lasciando l’ultima parola a Dio, poiché: L’en puet bien décevoir l’Yglise, mès l’en ne puet en nule guise Diex décevoir (Si può ingannare la Chiesa, ma in nessun modo si può ingannare Dio).

  La terza fonte relativa al rogo di Jacques de Molay proviene dalla Cronaca del Templare di Tiro (databile 1314-1321) contenuta ne Les Gestes des Chiprois. Il cronista – il suo vero nome non ci è noto – era un membro dell’ordine, probabilmente non un cavaliere ma uno scudiero, segretario del 21° maestro del Tempio, Guillaume de Beaujeu.

696. […] .xxxvij. furent ars à Paris, & dient fiaus quy les virent ardre, que tant com il ardoient, crieent à haute voys que le cors d’yaus eftoit dou roy de France & l’arme eftoit de Dieu.
 
697. Et meyfmes au derain, le maiftre & le comandour de Guafcougne fi furent menés à Paris, par devant tout le peuple là où il y ot afemblés plus de .lm. perfones, & y furent .ij. cardenaus de par le pape, quy firent lire(nt) .j. efcrit de lor regle, par le quel efcrit s’entendeit que il l’aveent coneü & gehi a de lor bouche; mais marchans quy fe troverent là dient que le maiftre fi torna vers le peuple & dift bien haut que tout ce que fel efcrit dizeit eftoit faus, & que il tel chofe n’en avoi[en]t dit ni gheï, ains eftoient bons creftiens. Et fur fefte parole .j. fergant le fery de la paume fur la bouche, qu’il ne poft plus dire, & fu trayné par les cheviaus en une chapele, & le tindrent tant là que il fu bien tart, & que le peuple fu amermé & party de la plus grant partie. Et adons le dit maiftre & le coumandour de Gafcoigne furent mis en une barque & pafés en l’ihle, quy eft de dens le flum, & là fu le feuc alumé, & le maiftre lor pria qu’il y fofriffent à dire fes oryffons, les queles il dift à Dieu; & puis fe livra à faire de fon cors lor volenté. Et enfy feaus le pryrent & le mirent au feuc, & fu ars, & le Dieu tout puiffant quy feit & conut les chofes facrées, fil feit que il fuft innocent de fel feit que l’on lor mift fus luy, & les autres quy furent ars, font martirs devant Dieu; & fe il font tés quy l’ayent defervy, il ont efté punis, mais je puis bien dire, tant que à l’aparant, je les ay coneüs pour bons creftiens & devos en lor meffes & en lor vie, & efpeciaument le cors de mon feignor le maiftre, quy fu frere Guillaume de Biaujeu, en mout d’amohnes grans & larges que il faizeit à pluzours bounes gens privéement & à l’aparant, come chafcun le feit, quy l’ont veü.
[…] trentasette [templari] furono arsi a Parigi, chi li vide ardere disse che mentre bruciavano gridavano a gran voce che il loro corpo apparteneva al re di Francia, ma la loro anima apparteneva a Dio.
Allo stesso modo in seguito, il maestro e il comandante di Guascogna furono portati a Parigi, davanti a una folla di cinquantamila persone. Due cardinali inviati dal Papa fecero leggere un estratto della loro regola, il documento sosteneva che [i templari] avevano confessato e pronunciato personalmente [il contenuto]; ma alcuni mercanti che erano presenti sostengono che il maestro si voltò verso il popolo e gridò chiaramente che tutto ciò che recitava il documento era falso, che non avevano mai detto né confessato tali cose, ma al contrario erano buoni cristiani. A quelle parole un sergente lo colpì sulla bocca con il palmo della mano [così forte] che non poté più parlare; allora fu trascinato per i capelli in una cappella, e lo trattennero là dentro fino a tardi quando la folla diminuì e la maggior parte del popolo se n’era andata via. Dunque il maestro e il comandante di Guascogna furono fatti salire su una barca e traghettati sull’isola che sorge in mezzo al fiume, là fu acceso il fuoco; il maestro chiese che gli fosse permesso recitare le sue preghiere, e così pregò Dio; dopodiché lasciò che si facesse del suo corpo ciò che volevano. Lo presero e lo misero sul rogo, e fu arso. Se Dio onnipotente, che conosce le cose sacre, li sapeva innocenti dalle accuse mosse contro di loro, e contro gli altri che sono stati arsi sul rogo, allora essi sono martiri dinnanzi al Signore; se invece erano meritevoli di condanna allora sono stati puniti. Tuttavia, posso affermare, per quanto ho visto, che [i templari] furono dei buoni cristiani, pii nelle messe e nella vita; specialmente il mio signore, che fu il maestro Guillaume de Beaujeu, egli fece grandi e generose donazioni a tanta brava gente, sia in privato che in pubblico, cosa ben risaputa da chi lo conobbe.10

  L’origine dell’incontro avvenuto quel 18 marzo rimane tutt’oggi oscura. Non è chiaro perché ci fosse la necessità di un nuovo processo a distanza di due anni dalla bolla Vox in excelso (22 marzo 1312) che aveva, de facto, soppresso l’ordine. Probabilmente questo è il più grande dei misteri legati all’epilogo dei Templari ma, come preannunciato, la vicenda ha dato vita a innumerevoli leggende e teorie. Una di queste riguarda la maledizione che Jacques de Molay avrebbe lanciato contro il Papa e il re annunciando la loro morte entro la fine dell’anno. All’origine di essa troviamo i versi della Chronique métrique: “La disgrazia si abbatterà presto su coloro che a torto ci condannano: Dio vendicherà la nostra morte.” Effettivamente nel 1314 assistiamo alla dipartita di Clemente V e Filippo il Bello: il primo, già gravemente ammalato, si spegne il 20 aprile; mentre il secondo muore il 29 novembre, dopo una lunga agonia, a causa di un’incidente di caccia. Tuttavia, la fonte non riporta la predizione in questi esatti termini, potrebbe perciò trattarsi di una tradizione successiva.

  Una cosa è certa: la fine dei Templari ha scosso l’animo dei contemporanei, a partire dal popolo che si raduna in massa a Parigi, passando per i chierici, fino agli intellettuali, come ad esempio Dante Alighieri che nella Commedia definisce Filippo il Bello un novello Pilato e pone Clemente V all’Inferno. Del resto è comprensibile, immaginiamo l’improvvisa demolizione di un ordine monastico che da due secoli era attivo sia in Occidente che in Oriente tramite una fitta rete di monasteri, chiese, fortificazioni – ma anche fattorie e banche – e impegnava una massiccia forza militare in difesa della Terra Santa. Dall’oggi al domani questi monaci-guerrieri, simbolo stesso della Christianitas, vengono accusati dei peggiori crimini, incarcerati, e persino arsi sul rogo; tutto ciò – fossero essi ritenuti colpevoli o meno – ha certamente sconvolto gli uomini e le donne del Trecento.

Conclusioni

Ci pare evidente come la distruzione del Tempio e la condanna a morte di Jacques de Molay abbiano più a che fare con la politica, con i giochi di potere e gli interessi economici, che non con questioni morali e spirituali. Filippo il Bello, in bancarotta e con un debito verso i Templari di 400.000 fiorini d’oro, è senza dubbio il regista della tetra pièce, il cui ultimo tragico atto va in scena all’ora dei Vespri in un luogo appartato e difficilmente accessibile. Il sovrano non avrà di certo rinunciato al macabro spettacolo avendo a disposizione un posto d’onore: l’Isola dei Giudei si trovava infatti immediatamente di fronte all’Île de la Cité sulla quale sorgeva il palazzo reale. Chissà se ha mai provato rimorso, come negli ultimi versi dell’opera di Raynouard:

Erano innocenti? Questo dubbio fa orrore.
Dio! Se ho commesso un così funesto errore
Non domando per la tua bontà il perdono:
Colpisci me, ma salva il mio popolo e il trono.

Les Templiers, atto V, scena VIII 11

Ancora oggi i Templari riscuotono un certo successo e i miti legati a essi sono numerosissimi; del resto questo fascino è tutt’altro che recente, anzi potremmo parlare di un vero e proprio neotemplarismo che nasce nel XVIII secolo con le società segrete, i circoli esoterici, e gli ordini che millantano un collegamento diretto con il Tempio. Fascino che prosegue con i passionnés dell’alta società ottocentesca (tra i quali anche Napoleone Bonaparte), attraversa il Novecento con film, romanzi, e saggi (più o meno attendibili a seconda del caso), e giunge fino a noi. Per i più giovani, ma non solo, sarà facile collegare i monaci-guerrieri alla ben nota serie videoludica Assassin’s Creed che vede protagonisti, in un perenne scontro lungo i secoli, Assassini e Templari. L’ottavo capitolo Unity si apre proprio con il rogo del maestro nel 1314 per poi spostare l’ambientazione all’epoca della rivoluzione francese; qui il gioco ci offre il rimando a un’altra famosa leggenda – una sorta di sequel della maledizione – il 21 gennaio 1793 quando Luigi XVI viene ghigliottinato qualcuno avrebbe gridato (chi dice il boia, chi la folla, chi un massone): “Jacques de Molay sei vendicato!”.  

Tralasciando misteri e dietrologie, quello che ci resta dei Templari è un ricco e meraviglioso pezzo di storia, coronato nel suo epilogo dall’eroismo del loro ultimo maestro. Un martire.

Lux Victrix EdizioniQuattro Castella, 18 marzo 2021

Chroniques de France ou de St Denis – Royal 20 C VII f. 48

Bibliografia

  • Chronique latine de Guillaume de Nangis, de 1113 à 1300, avec les continuations de cette chronique, de 1300 à 1368, H. Géraud, Paris, Renouard, t. 1, 1843;
  • Chronique métrique de Godefroy de Paris, J. A. Buchon, Paris, Verdière, 1827;
  • Chronique rimée attribuée à Geffroi de Paris, éd. N. de Wailly et L. Delisle, in ‘Recueil des historiens des Gaules et de la France’, Paris, Palmé, t. 22, 1860, pp. 87-166;
  • La leggenda nera dei templari, B. Frale, Bari-Roma, Laterza, 2016;
  • Les gestes des Chiprois, G. Raynaud, Genève, Fick, 1887;
  • Les templiers, M. Raynouard, Paris, Giguet et Michaud, 1805;
  • The Trial of the Templars, M. Barber, Cambridge, Cambridge University Press, 2006.

  1. Il Gran-Maestro risponde a due templari che chiedono quale sarà la loro sorte. Les templiers, M. Raynouard, Paris, Giguet et Michaud, 1805, p. 84 (mia la traduzione).
  2. Estratto da una preghiera templare recitata durante gli anni di prigionia. Les templiers, M. Raynouard, Paris, Giguet et Michaud, 1805, pp. 104-106 (mia la traduzione).
  3. Chronique latine de Guillaume de Nangis, de 1113 à 1300, avec les continuations de cette chronique, de 1300 à 1368, H. Géraud, Paris, Renouard, t. 1, 1843, pp. 402-404 (mia la traduzione).
  4. Nicolas de Fréauville, confessore di Filippo il Bello fino al 1305 poi ordinato cardinale da Clemente V, fu uno dei principali fautori del concilio speciale tenutosi il 18 marzo 1314.
  5. Isle des Janiaus nel manoscritto, piccolo isolotto della Senna che sorgeva accanto all’Île de la Cité comunemente conosciuto con il nome di Île aux Juifs (Isola dei Giudei).
  6. Il termine riportato nel testo originale aviax è certamente una corruzione di aveaus (sing. avel) che si può tradurre con desideri, volontà, piaceri.
  7. Il termine herite ha due significati – ed essendo citato due volte di seguito nel testo pare che l’autore volesse sottolinearli entrambi – da un lato si traduce con eretico ma definisce anche un sodomita (più precisamente indica una qualsiasi forma di depravazione sessuale).
  8. Vedi sopra.
  9. Chronique rimée attribuée à Geffroi de Paris, éd. N. de Wailly et L. Delisle, in ‘Recueil des historiens des Gaules et de la France’, Paris, Palmé, t. 22, 1860, pp. 143-145, vv. 5619-5756 (mia la traduzione).
  10. Les gestes des Chiprois, G. Raynaud, Genève, Fick, 1887, pp. 330-331 (mia la traduzione).
  11. <em>Les templiers,</em> M. Raynouard,<em> </em>Paris, Giguet et Michaud, 1805, p. 100 (mia la traduzione).

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